UNA VIAGGIATRICE DAI GENI UN PO’ VAGABONDI
“Finalmente, eccola qui la nostra viaggiatrice, la nostra vagabonda”! J Così erano e sono tuttora soliti accogliermi i componenti della mia splendida famiglia al rientro da uno dei miei numerosi viaggi. Viaggiare è diventata una parte fondamentale e molto importante della mia vita, quella grande passione trasformata in professione. L’origine di tutto sarebbe da ricercare in quel momento catartico in cui mi laureai all’università, l’unica certezza era che non avevo la più pallida idea di cosa avrei fatto da grande. Si accese una lampadina, e decisi così di partire per l’Australia. Sognavo di andare il più lontano possibile, pensando che avrei sempre fatto in tempo ad avvicinarmi. Partii per l’Australia, destinazione Sydney, la mia prima grande avventura lontana da casa. Un tuffo in quell’affascinante mondo “down under”, insomma sottosopra. E lì rimasi per ben due anni.
Se volessi ricercare una traccia nei geni ereditati dai miei avi, direi che ce ne sarebbe a sufficienza per scrivere un racconto. Entrambi i miei bisnonni paterni, Vitale e Biagio, da giovani avevano lasciato le Dolomiti per emigrare in America. Vitale partì a fine ‘800 negli anni della corsa all’oro, prese la nave per gli Stati Uniti e proseguì da Seattle con un piroscafo diretto in Alaska, destinazione Klondike. Biagio partì invece ai primi del ‘900 insieme ai suoi 4 fratelli, emigrarono insieme in Pennsylvania, dove si stabilirono e lavorarono come boscaioli. Trascorsi alcuni anni decisero di rientrare, tranne uno dei fratelli di Biagio che decise di rimanere in America. Certamente le motivazioni che spinsero i miei bisnonni a partire, le enormi difficoltà e le reali necessità di quel momento storico nulla avevano a che vedere con le motivazioni che mi hanno portata in Australia, fatto sta che i geni rimangono quelli, e parlano chiaro.
Arrivò per me il momento di rientrare dall’Australia, il forte richiamo delle montagne si era rivelato chiaramente. Cosa avrei fatto una volta riabbracciate le mie Dolomiti non lo sapevo ancora, storia già sentita e già vissuta. Dopo alcuni mesi, forse solo un paio di settimane, avrei voluto ripartire di nuovo. Ma decisi di resistere, cercando di domare la mia solita e ben conosciuta irrequietezza. E così in primavera prese il via una nuova avventura e iniziai a lavorare come Tour Manager e Tour Leader per una compagnia inglese specializzata in viaggi a piedi o in bicicletta per piccoli gruppi. Centro! Fu l’inizio di quella meravigliosa avventura che continua tuttora, da lì in avanti il cammino si è rivelato passo dopo passo sempre più chiaro, per arrivare ad avviare la mia attività in proprio di consulente viaggi, accompagnatrice turistica e guida di media montagna.
In quei primi anni ogni stagione lavorativa macinavo migliaia di chilometri in lungo e in largo, in Italia e in Europa, alla guida di un bellissimo furgone Mercedes Sprinter targato UK, ebbene sì con la guida a destra! E lo stile di vita era proprio adatto a me, del tipo “living out of a suitcase”, sempre con la valigia pronta. A volte si percorrevano lunghe distanze in uno o al massimo due giorni: dalla Sicilia alle Dolomiti, dalla Toscana a Santiago de Compostela, dalla Liguria a Oxford, dalla Sardegna a Salisburgo. Quanto mi sono divertita alla guida di quei Mercedes Sprinter, le abilità alla guida si dovevano perfezionare per forza e anche velocemente, per sopravvivere e percorrere in lungo e in largo Costiera Amalfitana, Cinque Terre, attraversare i piccoli borghi medievali di tutta Italia, dal Piemonte alla Toscana, dall’Umbria alla Sicilia. Quante avventure, e tante esperienze.
E guardando indietro nel tempo mi viene da pensare al mio bisnonno Biagio e a mio nonno Mario, ancora una volta i geni degli avi. Biagio e i suoi fratelli, una volta rientrati dall’America, aprirono una ditta di trasporti, dedicandosi sia al trasporto merci che di persone. Biagio aveva ereditato anche la passione per i cavalli da suo papà, il mio trisnonno Ferdinando che era stato a sua volta un carrettiere, trisnonno dal quale il mio papà prende il nome. Da carrettieri diventarono negli anni camionisti, impegnati per lo più a trasportare merci e legname più o meno lontano, e così anche mio nonno Mario diventò autista. E mi piace pensare che la passione per i viaggi e per la guida l’abbia presa proprio da loro, ancora una volta gli stessi geni.
E poi c’è questo grande amore per le montagne di casa, le Dolomiti, che mi ha spinto a decidere di ritornare per rimanerci e lavorare come guida. Anche mio papà da giovane si trasferì a Milano per lavorare alla Olivetti come perito meccanico, e lì rimase per una decina di anni. Decise poi di abbandonare la città, perché da abile scalatore e appassionato alpinista qual era, diventò troppo grande la nostalgia per le sue montagne, la vita di città non gli si addiceva. Ed eccoci tutti qui ad Auronzo di Cadore. Anche i geni della passione per la montagna sono di diretta derivazione.
Non vorrei però tralasciare i geni femminili possibilmente ereditati. Certo erano altri tempi, ed è risaputo che le trisnonne, bisnonne e nonne di una volta erano delle grandi lavoratrici, si occupavano sia della famiglia che del duro lavoro nei campi, al giorno d’oggi non possiamo neanche immaginare la vita di quei tempi. Fatto sta che forse un po’ della mia caparbietà e del mio carattere forte, ostinato e determinato potrei averlo ereditato da loro. E molto probabilmente anche quel carattere un po’ ribelle e irrequieto. La mia bisnonna Paolina faceva la contrabbandiera, percorreva tutta la Val Giralba per raggiungere l’Austria con carichi pesanti di resina da scambiare con sale e tabacco, quanta forza fisica e di volontà. E poi c’era anche la sorella di nonno Mario, la zia Giovanna, una donna dal carattere deciso e molto forte, una persona brillante, sportiva, sciatrice e amante dell’arrampicata.
Certo una cosa è sicura, erano e rimarranno sempre donne e uomini d’altri tempi, e poter raccontare di loro mi rende a dir poco orgogliosa.
Torna Indietro